Paradosso Italia: si parla di pensioni e i giovani sono senza lavoro

Secondo l'Istat la disoccupazione delle nuove generazioni è al 35,5%, ma la politica discute di dare loro una 'minima'.

Negli ultimi due mesi il numero di occupati ha superato il livello di 23 milioni di unità, soglia oltrepassata solo nel 2008, prima dell’inizio della lunga crisi. Nel solo mese di luglio gli occupati sono cresciuti dello 0,3% rispetto a giugno (+59 mila), “confermando la persistenza della fase di espansione occupazionale”. Lo dicono i dati Istat sul mercato del lavoro.

Su base annua, secondo le stime preliminare dell’Istituto, si conferma la tendenza all’aumento del numero di occupati (+1,3%, +294 mila). La crescita interessa uomini e donne e riguarda i lavoratori dipendenti (+378 mila, di cui +286 mila a termine e +92 mila permanenti), mentre calano gli indipendenti (-84 mila). A crescere sono gli occupati ultracinquantenni (+371 mila) e i 15-24enni (+47 mila), a fronte di un calo nelle classi di età centrali (-124 mila). Sul fronte della disoccupazione, il tasso sale all’11,3% (+0,2 punti percentuali). Dopo il calo di giugno, la stima delle persone in cerca di occupazione a luglio cresce del 2,1% (+61 mila).

L’aumento della disoccupazione è attribuibile esclusivamente alla componente femminile e interessa tutte le classi di età, mentre si registra una stabilità tra gli uomini.

Per i giovani il tasso di disoccupazione cresce al 35,5% (+0,3 punti). L’incidenza dei giovani disoccupati tra 15 e 24 anni sul totale dei giovani della stessa classe di età è pari al 9,5% (cioè poco meno di un giovane su 10 è disoccupato). La stima degli inattivi tra i 15 e i 64 anni a luglio è in forte calo (-0,9%, -115 mila), “confermando la tendenza in atto da metà 2013”, ha spiegato l’Istituto.

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La pensione prima del lavoro

Ancora una volta i dati parlano chiaro, più di tante parole: per i ragazzi, purtroppo, il lavoro non c’è. Ed è paradossale che nel frattempo la politica dibatta di una pensione minima per i giovani stessi.

Vediamoli allora questi numeri: appena 47mila occupati in più in un anno tra gli under25, addirittura un calo di 8mila unità nella fascia d’età fino a 34 anni; il mezzo (per non dire intero) flop del bonus occupazionale legato a Garanzia giovani; il tasso di disoccupazione che risale al 35,5 per cento. A fronte di questo l’attenzione di governo e sindacati è focalizzata sulla necessità di assicurare una pensione minima di garanzia di almeno 650 euro ai giovani che dovranno, comunque, avere un minimo di contribuzione maturata. Ma senza un impiego, e per di più stabile, come è possibile versare all’Inps i contributi necessari? Ecco quindi che il “problema lavoro” dovrebbe essere affrontato dal governo prima del “problema pensione”.

E ciò è tanto più vero (e urgente) se, analizzando nel dettaglio i dati sull’occupazione diffusi ieri, si mettono a confronto le performance degli under25 con quelle dei lavoratori over50. Ebbene: in primo luogo, si può vedere come il tasso di occupazione dei giovani si fermi a un modesto 17,2%. Per i “senior” siamo al 59,2%; un dato che si spiega essenzialmente con le novità introdotte dalla riforma Fornero che ha allungato l’età pensionabile (un interessante elaborazione condotta da Adapt ha conteggiato tra il 2013 e oggi, al netto della componente demografica, una crescita degli over50 di 513mila unità, pari da soli al 51% del totale).

Ancora più interessante, poi, sono le percentuali sul tasso di disoccupazione. Tra i giovani si sale al 35,5% (peggio di noi solo Spagna e Grecia); mentre per gli over50 si resta più o meno stabili al 6,8 per cento. Una forchetta molto ampia che va avanti da tempo; un’eccezione se confrontata con i paesi nostri competitor. Cosa significa? Che i lavoratori “senior” escono ed entrano in modo abbastanza dinamico nel mercato del lavoro; molto di più dei giovani. Anche per il maggior bagaglio di competenze ed esperienze possedute. Ecco allora che per i ragazzi serve davvero una «terapia d’urto», per ripetere le parole dell’economista del Lavoro, Carlo Dell’Aringa. In primo luogo è necessario tornare a rendere conveniente l’assunzione a tempo indeterminato dei ragazzi: e qui bisogna essere coraggiosi, come del resto chiedono le imprese, e puntare su una riduzione piena e strutturale del cuneo. Misure più timide rischiano di non centrare l’obiettivo.

E poi, è fondamentale puntare sulla formazione. Occorre disegnare una nuova filiera educativa che, valorizzando alternanza e apprendistato, consenta di innalzare il bagaglio di competenze dei ragazzi, anche alla luce della rivoluzione di Industria 4.0. È tempo di buttare giù (e per sempre) quegli steccati che ancora dividono istruzione e mondo del lavoro

di Claudio Tucci

Fonte: Il Sole 24 Ore

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