Fake news e manipolazione politica sui social, ecco chi lo fa in Italia

Ci vorrebbe una denuncia alla magistratura. I più attivi sul web sono i M5S, ma anche Pd e destra fanno molta propaganda.

Tutto quello che credi di pensare e poi scrivi su Twitter potresti non averlo pensato tu. L’influenza dei russi non c’entra: italianissime società di praticoni informatici sono in grado di manipolare le opinioni sui social network, ad esempio imponendo determinati temi all’attenzione generale, come se tutti ne parlassero, mentre a «spingerli» è una rete di computer.

Clamoroso l’esperimento realizzato, suo malgrado, da un cronista dell’agenzia di stampa Agi, diventato improvvisamente e senza motivi particolari, famoso per un giorno. È bastato che un gruppo di hacker lanciasse in Rete il suo nome (sotto forma di slogan, i cosiddetti hashtag) per entrare in un lampo tra i «trend topic» su Twitter, cioè gli argomenti più discussi del momento sulla piattaforma di microblog. Per mesi Arcangelo Rociola ha indagato sulle fabbriche di fake news e sui fake bot, reti di falsi utenti che ritwittano lo stesso messaggio, una eco digitale che inganna il gestore del social network. «Io e David Puente (nella foto in alto), – racconta il giornalista riferendosi a un noto cacciatore di bufale della Rete- abbiamo scoperto che dietro a uno di questi network pare esserci una società informatica di Roma. Un gruppo di hacker che si batte contro la manipolazione dei social network ne ha violato i computer e mi ha contattato via web per farmelo sapere. Io ho chiesto loro una prova e in breve tempo hanno diffuso migliaia di volte il mio nome facendomi entrare nella lista dei temi di tendenza su Twitter».

L’episodio è la prova della sconcertante facilità con cui persone con una certa preparazione informatica possono manipolare i social network, diventati ormai uno dei principali canali con cui il pubblico si informa.

Influenzare l’informazione sui social network è innanzitutto un business. Sia Rociola che Puente hanno tracciato l’origine della montagna di fake news messe in circolazione da siti web e pagine Facebook i cui nomi sono furbe storpiature dei nomi di vere testate giornalistiche. Sono così risaliti a siti come Liberogiornale e Ilfattoquotidaino (scritto proprio così, con la i nel posto sbagliato) scoprendo che facevano capo alla stessa società, la Edinet, con sede in Bulgaria, ma creata da un imprenditore di Albenga, Matteo Ricci Mingani, che ha militato in Forza Nuova (ed è stato espulso per indegnità) e poi ha manifestato posizioni vicine ai Cinque stelle. Lui ha negato di essere l’ispiratore delle fake news, dicendo di gestire solo la società che ospita i server. Ma la spiegazione, stando alle inchieste giornalistiche, non torna del tutto.

Ancora più insidioso il caso dei fake bot, che riproducono all’infinito un tweet, spesso fatto da una persona in carne e ossa, ma attribuendolo a finti utenti. «Per fabbricare queste false identità -spiega Puente- hanno anche preso le foto di utenti reali, un consulente del ministero della Salute, un ex candidato di Italia dei valori che conoscevo, totalmente a loro insaputa».

I più attivi sul web sono i M5S, ma anche il Pd ha una notevole rete di propaganda sul web, ma non c’è prova che usino i fake bot. Del resto nessuno indaga, perché è marketing ed è difficile configurare un reato, anche se le tecniche sono subdole. La società a cui Rociola e Puente sono risaliti è la Isaydata, con sede a Roma. Anche loro hanno negato tutto, ma le tracce sono consistenti. Molti tweet erano filo governativi, ma non tutti. E in passato la società ha lavorato tra gli altri per Ignazio Marino, cosa che ha spinto l’M5S ad accusarli di vicinanza al Pd. Puente non punta il dito: «Per sapere per chi lavorano ci vorrebbe un’inchiesta delle autorità. È marketing a disposizione di chi paga e sono convinto che possa influire sulla campagna elettorale: non serve convincere tutti, può bastare che spostino un punto percentuale».

Fonte: Il Giornale

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