Draghi alla prova del potere: tsunami di 500 nomine

Il premier si vuole affidare alla sua cerchia (e non ai partiti) per le scelte. In scadenza ci sono 518 poltrone in 90 controllate dal Mef, tra cui Cassa depositi e prestiti, Ferrovie, Saipem, Rai.

(WSC) ROMA – Sta per partire il nuovo giro di giostra per le nomine alla guida delle partecipate pubbliche. In scadenza ci sono 518 poltrone in 90 controllate dal ministero dell’Economia, tra cui pesi massimi come Cassa depositi e prestitiFs, Invitalia e Saipem. Si rimetterà in moto dunque quel complesso gioco di equilibri tra istanze politiche e necessità di mantenere elevato il livello del management in cui dovrà cimentarsi per la prima volta il governo Draghi. Cosa farà il presidente del Consiglio? Cercherà di accontentare tutti (e stavolta sono davvero tanti….) o si muoverà mettendo da parte il bilancino? Come vedremo dei segnali già ci sono e indicano come Draghi sembri più orientato a muoversi autonomamente, d’intesa con la sua cerchia più stretta, vale a dire il ministro dell’Economia Daniele Franco e il sottosegretario Roberto Garofoli, piuttosto che a raccogliere i desiderata delle varie forze politiche. Investitura, prestigio, fase storica e debolezza che attraversa tutti i partiti di maggioranza, gli danno la forza per farlo.

Rispetto a quando sono state fatte le nomine che giungono a scadenza molto è cambiato. I vertici delle partecipate sono per lo più espressione del governo giallo-verde, con un Movimento 5 Stelle all’apice della sua parabola politica e una Lega in forte ascesa. I pesi in parlamento sono gli stessi di allora ma fuori dalle Aule lo scenario è diverso.5 Stelle e Lega hanno un ruolo meno dominante, Pd, Forza Italia e ItaliaViva, Articolo uno sono nella maggioranza. Va detto che in questo giro di nomine non ci sono le super poltrone di Eni ed Enel, i due gioielli della corona del Mef, che ogni anno riversano nelle casse pubbliche due dividendi che insieme valgono circa un miliardo di euro.

L’unica società quotata che cambierà i vertici è Saipem ma qui i giochi sembrano già chiusi. Cassa depositi e prestiti ed Eni, che possiedono rispettivamente il 30,5 e il 12,5% della società di servizi petroliferi, hanno annunciato che all’assemblea del prossimo 30 aprile presenteranno una lista congiunta con il nome di Francesco Caio come amministratore delegato. Manager di lungo corso, in passato anche alla guida di Avio e Poste italiane, Caio è già presidente della stessa Saipem e, al momento, guida anche Alitalia. Prenderebbe il posto dell’attuale a.d. Stefano Cao. Qui, più che quello di Draghi, sembra esserci lo zampino di dell’amministratore delegato di Eni Claudio Desclazi , rinsaldato nella sua posizione dopo l’assoluzione nel processo per corruzione internazionale relativo a presunte tangenti pagate in Nigeria.

Il presidente del Consiglio è invece “in manovra” su Invitalia, società controllata al 100% dal Tesoro e che ha come missione quella di attrarre investimenti in Italia ed è impegnata nell’intricata vicenda ex Ilva. Invitalia, è guidata dal 2008 da Domenico Arcuri, e si appresta a staccare un assegno da 400 milioni di euro per entrare nel capitale di Arcelor Mittal Italia, e dunque nell’acciaieria tarantina. Al termine dell’operazione ad Invitalia spetterà la nomina di 3 sui 6 membri del Consiglio di amministrazione. Senonché i nomi sono già stati decisi da palazzo Chigi. In particolare Draghi avrebbe personalmente “reclutato” l’ex manager di Telecom Italia ed Eni, Franco Bernabè che avrà il compito di gestire il piano per il rilancio della siderurgia. Insieme a lui siederà in consiglio anche Stefano Cao, in uscita da Saipem. Non è un mistero che Arcuri non goda di grande favore a palazzo Chigi. In teoria la sua carica scade a fine 2022 ma in pochi scommettono che nulla si muoverà sino ad allora. L’alternativa che circola è quella di Bernardo Mattarella, nipote del presidente della Repubblica, e oggi numero uno del Mediocredito centrale.

Il dossier di maggior peso è quello di Cassa depositi e prestiti, soprattutto per via della lunga lista di partecipazioni che la società ha in tasca. Oltre al 12,5% di Saipem, Cdp possiede il 26% di Eni, il 31% di Snam, il 30% di Terna, il 35% di Poste Italiane e il 71% di Fincantieri. Non solo, nella cassaforte ci sono anche il 18% di WeBuild, il 9,9% di Telecom e il 50% di Open Fiber. Cdp appartiene per l’82% al ministero del Tesoro e per un 15% alle fondazioni bancarie, i cui vertici sono in parte espressione di enti locali. Dal 2018 la Cassa è guidata da Fabrizio Palermo, nominato dal governo giallo-verde, soprattutto su spinta 5 Stelle. La Cassa è attualmente impegnata in due grandi partite industriali: rete unica e Autostrade. Cdp iniseme ai fondi Blackstone e Macquaire sta infatti cercando di rilevare l’88% di Aspi in mano ad Atlantia. Sul piatto ci sono circa 9 miliardi di euro.

I “lavori in corso” in cui è impegnata Cdp giocano a favore o contro alla riconferma di Palermo, a secondo del punto di vista da cui le si guarda. Alla logica del “non disturbare il conducente” potrebbe affiancarsi una certa impazienza per i tempi di trattative che stanno andando molto per le lunghe. La riconferma viene così data per possibile, forse probabile, ma non certo per scontata. Sullo sfondo c’è l’ombra di Dario Scannapieco, vicepresidente della Banca europea degli investimenti, molto vicino a Mario Draghi. Tre anni fa Palermo fu preferito allo stesso Scannapieco soprattutto per volontà del Movimento 5 Stelle. Tra gli “outsider” anche Luigi Gubitosi di Tim e Matteo Del Fante (Poste). Quasi certa la riconferma del presidente della Cassa Giovanni Gorno Tempini, nomina di pertinenza delle fondazioni bancarie. L’appuntamento, ma si arriverà a giochi fatti, è quello del prossimo 13 maggio, data di convocazione dell’assemblea. Nel frattempo saranno probabilmente cambiati prima della scadenza i vertici di Sace, divisione di Cassa depositi e prestiti che fornisce supporto finanziario e assicurativo alle aziende italiane che vanno all’estero e che appresta però a passare direttamente sotto il controllo del Tesoro. L’attuale presidente Rodolfo Errore sarà sostituito dal dirigente del Tesoro Filippo Giansante mentre l’amministratore delegato Pierfrancesco Latini passerà il testimone molto probabilmente all’ “interna” Alessandra Ricci.

A primavera inoltrata si conosceranno anche i destini di Gianfranco Battisti, amministratore delegato del gruppo Fs a sua volta in carica dal 2018, grazie a un deciso sostegno da area 5 Stelle. Il manager è inviso a Matteo Renzi e la riconferma è incerta. Fs è la principale stazione appaltante del paese e dovrà gestire una bella fetta (40 miliardi di euro circa) dei fondi per lo sviluppo infrastrutturali che arriveranno con il via libera al Recovery fund europeo. Nel toto nomine si fa il nome di Arrigo Giana, direttore generale di Atm.

Cambieranno quasi sicuramente i vertici Rai, azienda dove le nomine sono espressione politica per eccellenza. L’amministratore delegato e il direttore generale Fabrizio Salini e Marcello Foa, si apprestano a lasciare entrambi viale Mazzini. i sostituti potrebbero essere Eleonora Andreatta, figlia dell’ex ministro Beniamino, ora in forze a Netflix, e l’ex direttore di Corriere della Sera e Sole 24 OreFerruccio De Bortoli. Circolano anche i nomi di Paolo Del Brocco e Carlo Nardello.

Fonte: Il Fatto Quotidiano

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