Coronavirus: stime su costi e scenari globali, gli effetti della pandemia

Uno studio ipotizza nello scenario più sfavorevole un calo del Pil del 4,8% nel primo anno. La nota dell'Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani diretto da Carlo Cottarelli.

Ad oggi l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ritiene che quella di Covid-19 sia classificabile ancora come “epidemia” e non come “pandemia”.[1] Tuttavia, vista la rapida diffusione del virus, molti si aspettano che lo status di pandemia venga dichiarato a breve. Quali potrebbero essere gli effetti economici di una pandemia di coronavirus? Rispondere a questa domanda è prematuro visto che la risposta dipende dall’estensione del contagio, ma in passato diversi studi hanno provato a quantificare l’impatto economico di un’eventuale pandemia basandosi sulle esperienze del secolo scorso. In questa nota passiamo in rassegna questi studi. Le principali conclusioni sono riassunte nell’ultima sezione.

Gli effetti macroeconomici di una pandemia

Innanzitutto, è utile chiarire quali sono i canali con cui la diffusione di un virus infettivo può colpire l’economia mondiale. Un primo canale è l’effetto diretto che si ha sul sistema sanitario dei paesi coinvolti, che sono chiamati a sostenere costi significativi per la cura delle persone malate e per le misure di contenimento del contagio; questi costi comprendono sia la spesa per dispositivi medico-sanitari, sia quella per gli straordinari del personale ospedaliero. Tuttavia, è verosimile che i principali danni arrecati all’economia siano di tipo indiretto. Tra questi possiamo evidenziare:

  • una riduzione dell’offerta di lavoro dovuta alla malattia (o nei casi più gravi alla morte) di un numero elevato di lavoratori o alla necessità di prendersi cura di familiari ammalati, con conseguente calo della produttività;
  • la chiusura temporanea di aziende, negozi, scuole, servizi pubblici per limitare il contagio nelle zone colpite;
  • un forte calo della domanda da parte dei consumatori, soprattutto nei settori ritenuti più “rischiosi” (turismo, ristorazione, cinema e teatri, eventi sportivi, vendite al dettaglio di beni non essenziali, trasporti);
  • un crollo del commercio internazionale e degli investimenti esteri.

Quanto grandi sono gli effetti appena descritti? I risultati di quasi tutti gli studi che si sono occupati di questo tema riportano simulazioni basate su modelli econometrici di equilibrio economico generale.[2] Questi risultati dipendono quindi dalle caratteristiche dei modelli e  dalle ipotesi sull’entità di due variabili fondamentali: il “tasso di attacco” del virus (cioè la percentuale di popolazione che si ammala) e il suo “tasso di letalità” (cioè la percentuale di contagiati che muore).[3] Generalmente, gli studi analizzati considerano scenari simili alle tre pandemie influenzali del ‘900 riconosciute dall’OMS: l’influenza spagnola del 1918-19, l’influenza asiatica del 1957 e l’influenza di Hong Kong del 1968-69.[4] Si stima che il tasso di attacco di tutte e tre le pandemie fosse compreso tra il 25 e il 35 per cento, mentre il tasso di letalità era compreso tra il 2 e il 3 per cento per la spagnola e inferiore allo 0,2 per cento negli altri due casi (OMS, 2009).

Veniamo ora ai risultati delle simulazioni. Tre studi si sono concentrati sugli effetti sull’economia globale:

  • McKibbin e Sidorenko (2006) considerano tre scenari, che ricalcano le tre pandemie del secolo scorso. Nello scenario più “mite” (simile all’influenza di Hong Kong del 1968-69), i decessi si attestano a 1,4 milioni e l’effetto negativo sul Pil mondiale nel primo anno dopo lo scoppio della pandemia è pari a 0,7 punti percentuali; nello scenario “moderato” (simile all’influenza asiatica del 1957), in cui si prevedono 14 milioni di morti, il Pil mondiale si riduce di 2 punti percentuali rispetto alla crescita prevista, mentre nello scenario più “severo” (simile all’influenza spagnola del 1918-19), in cui i decessi salgono a 71 milioni, il calo nel primo anno raggiunge il 4,8 per cento. È importante notare che, anche nello scenario più sfavorevole, l’impatto del virus sull’economia si riduce nel secondo anno e tende a rientrare quasi completamente a partire dal terzo, quando il Pil inizia a convergere ad un livello solo leggermente inferiore rispetto a quello previsto prima della pandemia (poiché i decessi hanno comunque ridotto in modo permanente l’offerta di lavoro). Altri due risultati meritano di essere evidenziati: (i) l’effetto macroeconomico è più forte nei paesi a reddito medio-basso, a causa delle maggiori difficoltà a contenere il virus e della fuga di capitali verso i paesi più sicuri; (ii) nella maggior parte dei paesi l’inflazione aumenta, poiché gli shock dal lato dell’offerta (riduzione dell’offerta di lavoro, aumento dei costi di produzione per le imprese), che spingono i prezzi verso l’alto, tendono a prevalere sugli shock dal lato della domanda (riduzione dei consumi dovuta al panico).
  • Burns et al. (2008) riprendono lo scenario da influenza spagnola visto nel paper precedente e stimano un calo del Pil globale del 3,1 per cento nel primo anno, con un effetto negativo più forte per i paesi emergenti. In questo caso, però, la maggior parte del calo (circa i due terzi) è dovuta agli shock dal lato della domanda, ovvero ai cambiamenti nel comportamento dei consumatori.
  • Verikios et al. (2011) simulano gli effetti trimestrali di due pandemie: un virus poco contagioso ma molto letale (tasso di attacco del 3 per cento, tasso di letalità del 10 per cento) e un virus molto contagioso ma poco letale (tasso di attacco del 40 per cento, tasso di letalità dello 0,5 per cento). In entrambi i casi, il picco dell’effetto negativo sul Pil si ha nel secondo e terzo trimestre successivi allo scoppio della pandemia; in seguito, l’economia torna gradualmente verso il trend precedente, attestandosi ad un livello solo leggermente inferiore (per lo stesso motivo visto in precedenza). A distinguere i due scenari è però la grandezza dell’impatto sul Pil. Nello scenario con virus poco contagioso, il Pil globale si riduce dello 0,3 per cento nel primo anno e dello 0,1 per cento nel secondo, con un effetto analogo sull’occupazione; l’impatto sul commercio internazionale è invece doppio rispetto a quello sul Pil, determinando un danno economico maggiore per quei paesi che più dipendono dagli scambi e dal turismo. Nello scenario con virus molto contagioso, invece, nel primo anno il Pil globale si riduce del 3,3 per cento, con picchi del 4-4,5 per cento nel secondo e terzo trimestre; per l’occupazione e il commercio internazionale i picchi trimestrali sono ancora più bassi (-6,5 per cento e -5 per cento, rispettivamente). Come già visto in Burns et al. (2008), anche in questa simulazione sono gli shock dal lato della domanda a determinare l’effetto molto negativo del primo anno.

Altri studi hanno invece simulato gli effetti sull’economia di alcune macroaree:

  • Keogh-Brown et al. (2008), per esempio, valutano gli effetti sulle principali economie europee di una pandemia con caratteristiche simili a quelle del 1957 e 1968-69 (quindi poco letale). Nello scenario base l’effetto sul Pil è abbastanza contenuto, attorno allo 0,4-0,5 per cento, e i consumi delle famiglie diminuiscono dell’1 per cento. Tuttavia, questi effetti vengono notevolmente amplificati se si ipotizza che, per limitare la diffusione del virus, il governo di ciascun paese ordini la chiusura delle scuole per quattro settimane: in questo caso, ipotizzando che circa il 14 per cento dei lavoratori sia costretto a stare a casa per prendersi cura dei propri figli, l’effetto negativo sul Pil lieviterebbe fino al 5-8 per cento a seconda del paese considerato, mentre i consumi scenderebbero del 9-11 per cento. Lo studio mostra anche come soltanto la scoperta e diffusione di un vaccino antivirale sarebbe in grado di controbilanciare gli effetti negativi della chiusura delle scuole, contenendo la caduta del Pil al di sotto dell’1 per cento.
  • Un report del Congressional Budget Office (2006), l’equivalente americano del nostro Ufficio Parlamentare di Bilancio, ha simulato gli effetti di due diverse pandemie sull’economia USA. Nel caso di una pandemia più “severa” (tasso di attacco del 30 per cento, tasso di letalità del 2,5 per cento) e ipotizzando un’assenza media dal lavoro di tre settimane, nel primo anno il Pil americano si ridurrebbe del 4,25 per cento rispetto al trend senza pandemia; di questo calo, il 2,25 per cento sarebbe dovuto a shock dal lato dell’offerta e il 2 per cento da shock dal lato della domanda. Nello scenario più “mite” (tasso di attacco del 25 per cento, tasso di letalità dello 0,1 per cento, assenza media dal lavoro di quattro giorni), invece, la pandemia ridurrebbe il Pil dell’1 per cento nel primo anno, con uguale contributo delle due tipologie di shock.
  • Infine, la Commissione Europea (2006), riprendendo lo scenario più “severo” del report CBO appena descritto e ipotizzando che la pandemia duri un trimestre, ha calcolato che l’effetto negativo sul Pil europeo sarebbe dell’1,6 per cento nel primo anno (di cui due terzi dovuti a shock dell’offerta) e dello 0,5 per cento nel secondo e terzo anno. Una parte della caduta del Pil verrebbe quindi recuperata abbastanza velocemente, anche se il Pil convergerebbe comunque a un livello leggermente inferiore a quello previsto prima della pandemia (a causa della riduzione permanente dell’offerta di lavoro, come detto in precedenza). In questo contesto, i paesi del Mediterraneo (soprattutto Spagna e Grecia) subirebbero un danno economico peggiore perché maggiormente dipendenti dal turismo. Se poi si considerassero shock dal lato della domanda più forti, dell’ordine di grandezza di quelli ipotizzati nel report CBO per gli USA, il crollo del Pil europeo sarebbe del 3,3 per cento nel primo anno.

Quali conclusioni possiamo trarre?

In generale, si possono trarre le seguenti conclusioni:

  1. La portata dell’impatto economico di una pandemia dipende fortemente dalle ipotesi sulla gravità del contagio: una pandemia “mite”, simile all’influenza asiatica del 1957 o a quella di Hong Kong del 1968-69, avrebbe un effetto contenuto sul Pil mondiale, tipicamente inferiore all’1 per cento annuo, mentre una pandemia più “severa”, simile alla spagnola del 1918-19, potrebbe produrre effetti anche nell’ordine del 3-5 per cento annuo.
  2. Tutti gli effetti economici stimati, per quanto forti, sono soprattutto di breve periodo, che tendono a risolversi quasi completamente nel giro di un anno o poco più. Nel medio periodo il Pil tende ad essere solo di poco inferiore al livello che avrebbe raggiunto in assenza della pandemia, soprattutto se le perdite umane sono contenute.
  3. Nel breve periodo, un virus molto contagioso ma poco letale è più dannoso per l’economia di un virus molto letale ma poco contagioso, poiché è in grado di generare shock più forti sia nei consumatori sia nelle imprese. L’effetto (contenuto) di lungo periodo, invece, dipende esclusivamente dalla riduzione permanente dell’offerta di lavoro e quindi dalla letalità della pandemia.
  4. L’effetto sul commercio internazionale è più forte di quello sul Pil, per cui il danno economico è maggiore per i paesi che più dipendono dagli scambi internazionali.
  5. I paesi emergenti sono più colpiti, non solo perché hanno maggiori difficoltà a contenere la diffusione del virus, ma anche perché i capitali tendono a spostarsi verso i paesi avanzati, considerati più sicuri dagli investitori.
  6. Nel determinare l’entità dell’impatto sono importanti sia gli shock dal lato dell’offerta (minore offerta di lavoro, minore produttività, maggiori costi per le imprese ecc.) sia gli shock dal lato della domanda (riduzione/modifica dei consumi dovuta al panico); l’effetto sull’inflazione dipende da quali tra questi shock prevalgono.

 

Bibliografia
Brainerd, E. e Sigler, M. (2003), “The Economic Effects of the 1918 Influenza Epidemic”, CEPR Discussion Papers 379.
Burns, A., Van der Mensbrugghe, D. e Timmer, H. (2006), “Evaluating the economic consequences of avian influenza”, World Bank.
Commissione Europea (2006), “The macroeconomic effects of a pandemic in Europe – A model-based assessment”, EC Economic Papers 251, June 2006
Congressional Budget Office (2006), “A Potential Influenza Pandemic: Possible Macroeconomic Effects and Policy Issues”, The Congress of the United States, Congressional Budget Office.
Garrett, T. (2009), “War and Pestilence as Labor Market Shocks: U.S. Manufacturing Wage Growth 1914–1919,” Economic Inquiry, Western Economic Association International, vol. 47(4), pp. 711-725.
Karlsson, M., Nilsson, T. e Pichler, S. (2012), “What doesn’t kill you makes you stronger? The impact of the 1918 Spanish flu epidemic on economic performance in Sweden”, Darmstadt Discussion Papers in Economics 211, Darmstadt University of Technology, Department of Law and Economics.
Keogh-Brown, M., McDonald, S., Edmunds, J., Beutels, P. e Smith, R. (2008), “The Macroeconomic Costs of a Global Influenza Pandemic”. In Global Trade Analysis Project 11th Annual Conference on Global Economic Analysis, “Future of Global Economy”, Helsinki, disponibile al link https://www.gtap.agecon.purdue.edu/resources/download/3828.pdf
McKibbin, W. J. e Sidorenko, A. (2006), “Global macroeconomic consequences of pandemic influenza”, Lowy Institute for International Policy, Sidney.
OMS (2009), “Pandemic influenza preparedness and response: a WHO guidance document”, Geneva, World Health Organization.
Verikios, G., Sullivan, M., Stojanovski, P., Giesecke, J. A. e Woo, G. (2011). “The global economic effects of pandemic influenza”, General Paper G?224, Centre of Policy Studies (The Impact Project), Monash University.


[1] Si parla di epidemia quando una malattia infettiva si diffonde in eccesso rispetto alla norma in un’area circoscritta; si parla di pandemia quando un’epidemia si diffonde in un’area vasta, che comprende più paesi in continenti diversi.
[2] Pochissimi sono invece gli studi empirici. Tra questi, Brainerd e Sigler (2003), Garrett (2009) e Karlsson et al. (2012) si concentrano sugli effetti economici dell’influenza spagnola del 1918-19. Brainerd e Sigler (2003) trovano che i paesi maggiormente colpiti dalla spagnola hanno registrato tassi di crescita del reddito più elevati durante gli anni ’20, mentre Garrett (2009) mostra un effetto positivo della pandemia sui salari del settore manifatturiero negli USA. Karlsson et al. (2012), infine, trovano che lo scoppio della pandemia in Svezia ha causato un aumento del tasso di povertà e una riduzione dei rendimenti del capitale, ma non ha avuto effetti significativi sui redditi da lavoro.
[3] Talvolta il “tasso di letalità” viene chiamato erroneamente “tasso di mortalità”: in realtà, il tasso di mortalità di una malattia considera il numero di decessi in rapporto al totale della popolazione e non al totale dei contagiati; il tasso di mortalità (mortality rate) si ottiene quindi moltiplicando il tasso di letalità (fatality rate) e il tasso di attacco (attack rate).
[4] A queste tre pandemie del secolo scorso si è poi aggiunta più di recente una quarta pandemia, l’influenza suina del 2009.
pubblicato per gentile concessione di La Repubblica
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