FCA, possibili class action per il segreto su salute di Marchionne. Indagine Sec

Indaga anche Consob. Avvocati USA valutano azioni legali, per l'obbligo di comunicazioni riguardanti il CEO. Fondi d'investimento in allerta.

La privacy dell’uomo, il dovere del manager, il diritto di sapere dell’azienda e quello dell’opinione pubblica di essere informata. E poi c’è la Borsa, condizionata dalla realtà quotidiana e tutelata, per questo, dagli organi di vigilanza.

Che il caso Marchionne, e la malattia di cui si è saputo quando ormai era tardi, dovesse suscitare riflessioni e dibattito, era fin scontato. Ma alle domande “innocue” circolate in questi giorni – Che cosa è tenuto a fare un ceo? E che cosa, invece, chi dovesse venire a conoscenza di qualcosa di grosso? Esistono protocolli di comportamento, sociali e “finanziari”? – si aggiunge ora l’inchiesta aperta dalla Consob.

L’organo di controllo di Piazza Affari è intenzionata a valutare se ci siano state violazioni dell’obbligo di trasparenza e a stabilire se il silenzio intorno allo stato di salute di Sergio Marchionne, “price sensitive” nella sua capacità di influire sul prezzo delle azioni, possa aver condotto ad abusi. Per lo stesso motivo, starebbe indagando anche la Securities and Exchange Commission negli Usa, dove Fca era quotata.

«Verifiche di routine», mette le mani avanti la Commissione per le società e la Borsa. Anche secondo gli esperti, non vi sarebbe alcun obbligo legiferato in tema di comunicazione sullo stato di salute degli amministratori delegati, di competenza esclusiva dei cda.

Ma c’è chi ne fa una questione “etica”, e a suo modo la cavalca. «Se l’avessi saputo avrei immediatamente informato la società», ha dichiarato infatti Alfredo Altavilla, ex manager Fca responsabile per l’Europa, come a ribadire il suo rispetto per l’azienda che invece lo ha “tradito”, negandogli il ruolo di successore e portandolo alle dimissioni qualche ora dopo la nomina di Mike Manley.

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Dai rischi di class action alla necessità di analisi mediche periodiche per i top manager. La scomparsa di Sergio Marchionne ha trascinato con sé una lunga serie di domande sull’obbligo (o meno) per un’azienda di divulgare informazioni sensibili sullo stato di salute dei suoi dirigenti.

Un interrogativo che si è fatto anche più stringente da quando si è scoperto che Marchionne era malato da più di un anno, all’insaputa anche di un collaboratore stretto come l’ex capo Emea di Fca Alfredo Altavilla. Ne abbiamo parlato con un legale e il direttore di un think operativo negli Stati Uniti.

L’avvocato: per mancata disclosure sono possibili class action 

William Rosenstadt è avvocato e partner dello studio legale Ortoli – Rosenstadt di New York. Specializzato in diritto aziendale e società quotate, ha lavorato su requisiti di disclosure e trasparenza anche per la quotazione di numerose società cinesi a Wall Street. Mette in rilievo importanza e necessità di «transparency». E evidenzia che carenze di disclosure possono portare a class action, azioni legali collettive da parte di investitori che si sentano penalizzati e danneggiati, come avvenuto di recente nel caso del colosso ferroviario Csx. Anche se non necessariamente portano ad un loro successo.

«La prima questione di fondo – sottolinea Rosenstadt – è sempre quella dello standard di “materialità” delle informazioni. È un standard, un concetto che si è evoluto nel tempo. Ma che è basato su una analisi dei fatti e dell’impatto sui mercati per una società quotata. Il criterio è la sostanziale probabilità che la disclosure di un fatto possa essere vista da un investitore come qualcosa che avrebbe alterato in modo importante il quadro informativo, le decisioni di investimento.

Nel caso di Fca e di Sergio Marchionne credo che il “fatto” avesse importanza materiale, data la rilevanza del Ceo per il gruppo. Che quindi, a mio avviso, l’azienda avrebbe dovuto comunicarlo quando ne fosse venuta a conoscenza. L’azienda però nega di aver saputo nulla e se è così, ovviamente, decadono gli interrogativi su eventuali obblighi».

L’altro tema è quindi chi e quando sapeva. «Negli Usa – ricorda il legale – questa preoccupazione riguarda solo il top management e le persone che hanno controllo, soci con oltre il 4,99% del capitale. Il criterio qui è se e quando una simile persona avrebbe ragionevolmente dovuto essere a conoscenza dei fatti. Se qualcuno ha coscientemente ignorato chiari segni e prove, potrebbe doversi difendere quantomeno da critiche. Una somma di tanti segni – anche minori, di degrado della salute, se fossero stati evidenti – può accrescere gli obblighi di una comunicazione. I due protagonisti di eventuali azioni sono regulators e investitori.

La Sec può esaminare informalmente simili vicende e però non commenta mai prima di eventuali vere indagini, che richiederebbero comunque tempo. Potrebbe inoltre esaminare confidenzialmente se esistano sospetti di insider trading, guardare a pattern negli scambi dei titoli. Per quanto riguarda gli investitori, invece, per presentare un ricorso in sede civile non occorrono prove certe. Anche se diverso sarebbe tuttavia prevedere la fondatezza e l’esito si simili denunce. A motivare alcuni investitori possono essere le perdite sul mercato azionario, se i titoli non recuperano. La domanda può diventare se sarebbe stato possibile evitare simili perdite con una maggior trasparenza, una disclosure».

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L’elenco di gruppi dove un Ceo, direttore generale o socio di maggioranza si sia ammalato gravemente senza che sia stato comunicato rapidamente appare molto breve. E questo è indicativo di quanto sia complessa e allo stesso tempo quanto preoccupi una situazione di crisi di salute di carismatici top executive. «Nel noto caso di scarsa trasparenza di Apple sulle condizioni di Steve Jobs, – ricorda William Rosenstadt – in realtà, il fatto che fosse malato era comunque conosciuto e il titolo non soffrì più di tanto, cadde a volte ma recuperò, e una transizione al top a favore di Tim Cook fu messa in atto. A parte Apple, c’è la saga di Viacom e Cbs con Sumner Redstone, di United Continental con Oscar Munoz e infine e forse soprattutto quello delle ferrovie Csx. La salute di Redstone è stata in declino per anni e il suo impatto sull’azienda era ormai ridotto. Munoz ha avuto un trapianto cardiaco reso noto solo un mese dopo, ma la sua salute si è ripresa e anche nel suo caso il ruolo nel gruppo non era paragonabile a quello di uno Steve Jobs».

La vicenda di Csx è quella dove una denuncia è scattata, spiega Rosenstadt: «Hunter Harrison, in carica solo da marzo 2017, scomparve il 15 dicembre 2017 per complicazioni di una malattia che era stata resa nota al pubblico soltanto il giorno prima. Questo provocò un crollo successivo delle azioni. E fece scattare una class action basata sull’accusa di potenziali violazioni negli obblighi fiduciari del board, che stando ai soci aveva mancato di verificare adeguatamente le condizioni mediche di Harrison. Il caso finì nel nulla per un problema di giurisdizione».

«Warren Buffett offre la controprova di quanto sia considerata sempre più essenziale oggi la trasparenza da parte dei Ceo più agguerriti. Nel 2012 annunciò prontamente di avere un tumore alla prostata e la prognosi. Se però negli ambienti legali, nelle authority e nella Corporate America il dibattito continuerà, sugli standard di disclosure non mi aspetto giri di vite e riforme che impongano una maggior trasparenza in casi di malattie e salute dei top manager. Le preoccupazioni di privacy rimangono e il numero di Ceo che hanno un impatto straordinario sulle loro aziende è limitato» conclude William Rosenstadt.

L’esperto di governance: esami medici periodici per i top executive

Douglas Chia è executive director del Governance Center del Conference Board, un grande think tank aziendale con 1.200 società membre, quotate e non. In precedenza era stato vice consigliere legale, assistant general counsel, di Johnson & Johnson. Alla luce della vicenda di Fca e della scomparsa di Sergio Marchionne, per le aziende vede anzitutto necessità di sviluppare maggior trasparenza, anche sulle condizioni mediche dei top executive, fino alla richiesta di esami periodici obbligatori. E di avere adeguati piani di successione per le emergenze.

«La Fca ha negato di sapere della gravità della malattia di Sergio Marchionne, e questo appare sicuramente possibile. Molte persone su simili questioni tendono a essere estremamente riservate, altre più aperte con i datori di lavoro. E hanno ogni diritto morale a esserlo. Questo può però mettere il board e l’azienda in una posizione difficile. Anche se un’azienda sa, inoltre, dipende poi in realtà dal suo giudizio quando e come informare il pubblico. Negli Usa top executive quali Jamie Dimon di JpMorgan e Lloyd Blankfein di Goldman Sachs hanno scelto di chiarire tutto, quando sono stati diagnosticati con tumori. In un caso come Apple, invece, per Steve Jobs fu reso noto quando ormai era diventato molto evidente che esistevano gravi problemi di salute i quali richiedevano spiegazioni. In molti hanno pensato, nella vicenda di Apple, che ci sia stato un eccesso di riservatezza e troppi ritardi. Tanto più che l’azienda aveva già una tradizione di segretezza e che Jobs era considerato la personificazione stessa di Apple. Ma eventualmente la società cedette a pressioni e rese parzialmente conosciuto un piano di successione, pur senza offrire al pubblico completa trasparenza».

Negli Stati Uniti, va ricordato, non c’è un generale e chiaro equilibrio tra la privacy individuale e la disclosure a vantaggio degli investitori quando si tratta della salute di top manager. «Secondo le regole della Sec – afferma Chia –, non esiste un chiaro obbligo legale di disclosure di malattie, anche gravi. La disclosure viene richiesta, di fatto, solo quando viene annunciato un cambio di Ceo, compresa una significativa incapacitazione a causa di condizioni di salute. Ed è difficile stabilire dei veri precedenti cui fare riferimento, perché i fatti specifici, le informazioni su una malattia sono sempre diversi, specifici ai singoli casi. Questa situazione mette in evidenza anzitutto la necessità di accordi preventivi tra dirigenti e azienda sulla gestione e comunicazione di informazioni tanto personali e delicate».

«Posso citare il caso della Csx – continua Douglas Chia – , colosso delle ferrovie e dell’immobiliare, tra le recenti vicende più eclatanti che hanno sollevato la necessità di discutere una simile evoluzione. Il neo Ceo, Hunter Harrison, l’anno scorso aveva serie e note condizioni di salute, ma aveva rifiutato di sottoporsi a un esame medico indipendente come richiesto dall’azienda ed è mancato nel giro di pochi mesi». Assunto nel marzo 2017, con un incentivo di 84 milioni di dollari, Harrison morì a dicembre, il giorno dopo l’annuncio di una sua assenza per motivi di malattia. Il board del gruppo da quest’anno ha deciso di richiedere esami fisici annuali al Ceo, ndr.

Per l’esperto di governance «le aziende possono prendere ad esempio lo sport, dove gli atleti si sottopongono a controlli. Così come occorrono precisi piani di successione, anzi due piani: uno per il normale corso degli eventi e un secondo per le emergenze. Ma molte società non hanno ancora compiuto simili passi. Occorre, credo, che si avvii una discussione più aperta su questo e che gli investitori chiedano chiarezza su piani d’emergenza. Anche in un altro caso conosciuto, McDonald’s in passato aveva visto la scomparsa in rapida successione di due Ceo, sollevando dubbi su quanto l’azienda sapesse».

È però difficile, dice Chia, «sollevare casi di violazione di regole, a meno che emerga che l’azienda abbia mentito pubblicamente. Qualche investitore può teoricamente sporgere denuncia, intentare azioni sostenendo che siano state negate o tenute segrete informazioni, ma sono molto difficili da perseguire. Non ricordo simili episodi che abbiano avuto esito».

«Diverso e separato – afferma ancora Douglas Chia – sarebbe un caso di violazione di norme sull’insider trading, sia dal punto di vista delle politiche societarie che delle leggi. Ma anche qui dipenderebbe da incognite difficili da risolvere, ad esempio quanto erano davvero critiche le condizioni di salute del Ceo e se un dipendente o membro del board fosse a conoscenza esatta di ciò nel momento in cui faceva trading del titolo. È sempre un’analisi soggettiva».

La questione della disclosure sulla salute di un Ceo, nell’insieme, «solleva semmai per le aziende e i loro vertici una sfida di fiducia, un rischio di perdita di credibilità, con gli investitori e la comunità finanziaria in futuro – sottolinea l’esperto di governance -. Il dubbio può diventare che l’azienda non sia adeguatamente trasparente e che restino perplessità su quanto sapesse. Allo stesso tempo esiste però, va aggiunto, negli Stati Uniti e non solo, anche un forte senso di rispetto della privacy, una comprensione del diritto a tenere private simili informazioni mediche personali. È per questo che non mi paiono probabili sviluppi di regolamentazione su questo fronte, solleverebbero troppi e insolubili interrogativi etici per politici e autorità. La risposta rimarrà in mano alle imprese e al mercato».

Fonte: Il Sole 24 Ore

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1 commento

  1.   

    Gente bisogna metterci daccordo.
    La pryvacy esiste o non esiste, se esiste esiste e se non esiste non esiste.
    Non è che può esistere o non esistere a secondo del comodo che reca a qualche d’uno.
    Tutto il resto conta zero.
    Esiste ?
    Bene.
    Non esiste ?
    Bisogna pigliarne atto e non farci più affidamento.
    Non è più un bene che riguarda l’umanità e l’umanità deve inventarsi altri modi per difendersi.
    Questo caso limite affronta in modo diretto la situazione, aspettiamo la conclusione e regoliamoci di consequenza.