Borse in bolla: perché non ci si può più fidare dei prezzi di mercato

Una delle realtà più complesse con cui gli investitori stanno facendo i conti è il contrasto tra la contrazione delle economie globali e il rally dei mercati finanziari fino a livelli record. La prima – e piuttosto scontata – spiegazione di questo fenomeno è che i mercati sono orientati al futuro e di conseguenza tendono a incorporare nei prezzi le riprese economiche ben prima che avvengano.

(WSC) MILANO – Una delle realtà più complesse con cui gli investitori stanno facendo i conti è il contrasto tra la contrazione delle economie globali e il rally dei mercati finanziari fino a livelli record. La prima – e piuttosto scontata – spiegazione di questo fenomeno è che i mercati sono orientati al futuro e di conseguenza tendono a incorporare nei prezzi le riprese economiche ben prima che avvengano.

Tuttavia, crediamo che vi siano anche ragioni più profonde. Nello specifico, pensiamo sia in atto una radicale trasformazione nel modo in cui vengono generati i prezzi nominali degli asset rischiosi, che sta alla base del divario tra economia e mercati. Indichiamo con l’espressione il ‘nuovo nominale’ proprio questo fenomeno, nel quale i prezzi di mercato sono meno affidabili e offrono informazioni meno accurate sul reale valore degli asset. Ciò è dovuto a diversi fattori, ma quello principale resta l’enorme quantità di misure di stimolo monetario che negli ultimi anni sono rimaste in vigore più a lungo di quanto mai avvenuto.

Il costo nascosto degli stimoli è il deterioramento delle valute

Gli investitori globali sembrano accettare il grave deterioramento delle valute provocato da queste azioni delle banche centrali, ma sono in pochi a comprenderne le reali conseguenze. Molti, infatti, sono stati condizionati dai mercati che, in termini nominali, sembrano muoversi sempre al rialzo, crisi dopo crisi, indipendentemente da quanto il sistema si sia approssimato al collasso. Le strutture dei prezzi sono state manipolate così a lungo che ormai un vero e proprio crollo dei prezzi nominali potrebbe essere meno probabile di una disintegrazione del metro stesso che si usa per misurarli – vale a dire, la moneta legale.

Un aspetto cruciale è che, data la natura globale del deterioramento valutario, l’inflazione che ne deriva potrebbe non essere visibile nei tassi di cambio relativi sul forex, ma manifestarsi in prezzi più alti dei beni in qualunque moneta. L’esito finale sarà un nuovo modo di pensare a come aggiustare i dati nominali per distinguere la parte reale da quella che indica semplicemente un’erosione del potere di acquisto.

Sono ormai passati i bei tempi in cui bastava aggiustare i risultati nominali in base all’indice dei prezzi al consumo per ottenere i rendimenti reali. Nell’era del ‘nuovo nominale’, non è così semplice. Oggi gli aggiustamenti devono tenere conto di molteplici anni di ingenti stimoli – basati sull’inflazione monetaria – che però non si manifestano nell’indice dei prezzi al consumo o sul forex, ma solo negli stessi prezzi di mercato. Se questo è vero, significa che ormai i livelli dei mercati sono più un’indicazione sugli stimoli che non sul valore reale sottostante.

Andare oltre l’apparenza

A dirla tutta, il fatto che i mercati anticipino gli stimoli delle banche centrali in seguito a una crisi non è una dinamica nuova. In passato, il sistema affrontava le fasi di turbolenza economica tipicamente aspettandosi subito tassi a breve termine più bassi. Oggi gli investitori però fanno un passo ulteriore, considerando non solo il supporto dichiarato e misurabile delle banche centrali in termini di quantitative easing, ma anche un supporto ‘psicologico’ più sfumato e non misurabile che alimenta la percezione di un ‘put’ sui mercati, proprio in forza della storia passata di misure di sostegno in momenti di crisi. Il ‘condizionamento’ dei mercati ad aspettarsi ulteriore supporto aumenta ad ogni espansione degli stimoli. Il fatto di incanalare direttamente l’inflazione nei prezzi degli asset in modo così pronunciato è un fenomeno nuovo e senza precedenti. Il risultato finale è che i rendimenti nominali sono sbilanciati in positivo, ma se si aggiustano in base agli stimoli monetari – o all’inflazione – in tutte le possibili forme, non appaiono più così attraenti.

Come gli stimoli compromettono il meccanismo dei prezzi

Insomma, il problema del ‘nuovo nominale’ è la tendenza a compromettere la capacità del mercato di produrre prezzi che contengano informazioni utili. Questo aspetto è molto preoccupante perché la nostra intera economia è un sistema estremamente complesso di parti che interagiscono e si adattano in base ai nuovi dati, e questo ingranaggio per regolarsi si affida soprattutto a un input: i prezzi di mercato. Se si mette a repentaglio l’integrità dei prezzi, si mette a rischio l’intero sistema. Gli stimoli cronici ingarbugliano il processo perché creano una distorsione nei prezzi di mercato e privano l’economia di stress e pressioni (spesso nella forma di prezzi dolorosamente bassi) che sono preziose per indirizzarla e farla prosperare nel lungo termine. Nel frattempo, la propensione al rischio continua ad aumentare perché, con i prezzi sempre più alti e sempre meno ‘informativi’, gli investitori non sono in grado di vedere la possibile debolezza sottostante. Il risultato è un sistema di scelte sbagliate basate su prezzi sbagliati.

In conclusione, i mercati e i prezzi si misurano in termini nominali, ma la vita accade in termini reali. Il deterioramento delle valute potrebbe senz’altro far proseguire il rialzo dei mercati finanziari, ma potrebbe anche presentare un conto salato in termini di costi della vita significativamente più elevati. A nostro avviso ciò non farà che accentuare l’importanza di una gestione oculata dei risparmi nella vita delle persone.

A cura di Craig Blum, Portfolio Manager, TCW

Fonte: TCW

TCW è un asset manager globale, basato a Los Angeles, che gestisce una delle più ampie gamme di fondi comuni degli Stati Uniti tramite i fondi TCW, i fondi MetWest e le famiglie di fondi alternativi TCW, per un patrimonio totale di circa 235 miliardi di dollari (al 30.09.2020). 

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