Italia al soldo del Dipartimento di Stato Usa: Huawei fuori dalla gara 5G

Secondo Reuters, il colosso cinese non è stato invitato alla selezione per la rete «core» (quella più sensibile) in Italia e Brasile. E il premier, dopo la polemica su Casaleggio lobbista, esulta per 900 milioni da Google.

di Gabriele Carrer

(WSC) ROMA – Non sarà sfuggito all’amministrazione statunitense il tweet con cui ieri il premier Conte ha detto di accogliere «con favore» l’«importante investimento» in Italia da parte del gigante a stelle e strisce Google (oltre 900 milioni di dollari in 5 anni per aprire le due Google Cloud Region annunciate in partnership con Tim e per avviare il piano per le Pmi ribattezzato «Italia in digitale»).

Una dichiarazione, quella del premier Conte, che giunge nel bel mezzo del dibattito sul 5G italiano, che vede il nostro Paese teatro di uno dei vari conflitti (economico e tecnologico in primis) di cui si compone la guerra a tutto campo tra Stati Uniti e Cina.

E a giudicare da due notizie di ieri qualcosa nel mondo del 5G italiano sta cambiando.

La prima: secondo la Reuters, Telecom Italia non ha invitato il gruppo cinese Huawei a partecipare alla gara lanciata nei giorni scorsi per la costruzione della propria rete core 5G in Italia e in Brasile. Attualmente, come spiega l’agenzia, il colosso di Shenzhen non è presente nella rete core (cioè server e sistemi, quindi quella più sensibile, mentre le parti edge sono antenne e stazioni) di Tim in Italia, mentre ha fornito apparati per la costruzione della parte core della rete mobile della controllata brasiliana di Tim.

La seconda: rispondendo alle voci di un possibile bando da parte del governo italiano (come suggerito dagli Stati Uniti e come già fatto da diversi Paesi occidentali, ultimo il Regno Unito), Huawei Italia ha rilasciato una dura nota in cui spiega che «la sicurezza e lo sviluppo dell’Italia digitale debbano essere supportati da un approccio basato su fatti e non da illazioni infondate».

Il gigante tech respinge ancora una volta sospetti degli Stati Uniti circa i legami con il regime cinese.

Timori che emergevano anche nel rapporto del Copasir del dicembre scorso: «E’ stato posto in rilievo che in Cina gli organi dello Stato e le stesse strutture di intelligence possono fare pieno affidamento sulla collaborazione di cittadini e imprese, e ciò sulla base di specifiche disposizioni legislative», si leggeva.

Una «collaborazione» sancita, secondo quanto evidenziato dal Copasir (ma anche dagli Stati Uniti), da due leggi di Pechino, quella sulla sicurezza nazionale e quella sulla sicurezza informatica, che regolano il rapporto tra intelligence e aziende cinesi.

«Siamo un’azienda privata», ribatte Huawei Italia rivendicando il contributo «allo sviluppo del 3G, del 4G e ora del 5G» e «sicurezza, trasparenza e rispetto delle regole» come elementi fondamentali.

Il tema5G-Huawei è stato al centro della visita della scorsa settimana del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, all’ambasciatore degli Stati Uniti a Roma, Lewis Eisenberg.

Ma è stato anche tra quelli toccati martedì nell’incontro a Palazzo Chigi tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e Davide Casaleggio. Sembra si riferisse proprio a quel téte-à-téte l’ex candidata al Congresso repubblicana e trumpianissima DeAnna Lorraine, che in un tweet di martedì sera scriveva: «Perché il premier italiano Conte oggi si è incontrato con il lobbista di punta di Huawei in privato?». E’ nota, infatti, la vicinanza tra Casaleggio e il colosso di Shenzhen.

Basti pensare che, come ricordavamo ieri su queste colonne, l’anno scorso a Milano ha aperto il convegno della Casaleggio Associati sulla «Smart company» con un intervento di Thomas Miao, amministratore di Huawei Italia. L’anno prima, invece, alla kermesse pentastellata di Ivrea era stato avvistato anche Franco Brescia, ex braccio destro di Franco Bernabè diventato lobbista per conto di Huawei (oggi fa lo stesso mestiere ma per Atlantia).

In Consiglio dei ministri sono recentemente emerse le differenze interne alla maggioranza.

Da una parte il Movimento 5 Stelle che, capitanato dal ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli, è da sempre contrario a escludere i fornitori cinesi dalla rete 5G (nonostante il rapporto del Copasir di dicembre fosse stato approvato all’unanimità e, quindi, anche con il favore dei pentastellati Antonio Zennero, da alcuni mesi passato al Misto, Franco Castiello e Federica Dieni).

Dall’altra il Partito democratico che ha nei ministri Lorenzo Guerini (Difesa) ed Enzo Amendola (Affari europei) i principali sostenitori dell’urgenza di esercitare i poteri del golden power sulla fornitura di tecnologia da parte di Huawei a Tim e Windtre (particolarmente sensibile è il tema Huawei-Tim al Sud, dove passano i cavi sottomarini).

L’idea dem è quella di seguire la strada intrapresa giá da altri Paesi, come Francia e Regno Unito (ma non la Germania, sempre più distante dagli Stati Uniti; tanto che ieri i ministri delle Finanze e degli Esteri di Berlino hanno declinato l’inviato al G7 di Washington), per valorizzare i fornitori europei, cioè la svedese Ericsson e la finlandese Nokia.

Questo articolo, originariamente pubblicato da La Verità, che ringraziamo, non necessariamente rispecchia la linea editoriale di Kissinger.

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