Ue: multa da €1,5 miliardi a Google per abuso di posizione dominante

Terza sanzione in tre anni per il big tra i motori di ricerca. Ha impedito alle altre aziende di competere e soffocato l'innovazione.

Per la terza volta in pochi anni, la Commissione europea multa Google per pratiche anticoncorrenziali e abuso di posizione dominante. La sanzione da 1,49 miliardi, annunciata dalla commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager, viene staccata con l’accusa di aver ostacolato potenziali concorrenti nel mercato delle pubblicità online. «Google non dovrebbe comportarsi così», ha scritto in un tweet Vestager, «in questo modo ha sottratto ai consumatori la possibilità di scegliere, di utilizzare prodotti innovativi, e di pagare un prezzo giusto». La Commissione avrebbe potuto multare il colosso californiano fino a 13 miliardi di euro; la sanzione attuale corrisponde invece all’1,29% del fatturato di Google nel 2018. Nonostante riconosca che la condotta illecita sia cessata nel 2016, l’Antitrust europeo impone a Mountain View di «porre fine al suo comportamento illegale» e di «astenersi da qualsiasi misura che abbia lo stesso oggetto o effetto equivalente». «Abbiamo già introdotto una serie di cambiamenti ai nostri prodotti per rispondere alle preoccupazioni della Commissione; nei prossimi mesi, introdurremo ulteriori aggiornamenti per incrementare la visibilità dei nostri concorrenti in Europa», la replica dell’azienda.

Qual è l’accusa, stavolta? Tutto parte dai box di Google che si trovano sui vari siti e permettono di fare una ricerca all’interno dei siti stessi, e non nel resto di Internet. Il portale di un giornale, ad esempio, può decidere di affidarsi a Google per dare la possibilità ai suoi lettori di cercare articoli o altre informazioni, senza dover sviluppare e aggiornare una soluzione interna. Inizialmente, Mountain View aveva imposto a chi volesse avere quei box di ricevere anche le pubblicità collegate alle ricerche: se poi l’utente avesse cliccato su un messaggio pubblicitario, tanto Google che la società terza avrebbero percepito una commissione. Si sta quindi parlando di una porzione relativamente piccola del (core)business delle sponsorizzazioni online di BigG: annunci di testo integrati in altri portali. Un sottoinsieme dei ricavi (a loro volta in calo) derivanti dalla vendita di annunci su siti terzi, che nel 2018 hanno contribuito al 15% della causa complessiva. Una porzione piccola ma rilevante, secondo la Commissione, che sottolinea come con Adsense per la ricerca — così si chiama il contesto incriminato — Google abbia agito come intermediario pubblicitario tra inserzionisti e proprietari di siti. Tra il 2006 e il 2016, continua l’accusa, si è accaparrato il 70 per cento di quello specifico mercato in Europa.

Nel 2009, Google allentò le restrizioni per permettere ai siti terzi che usano il box di visualizzare anche i messaggi pubblicitari dei concorrenti sulle loro pagine — ma richiedendo una quantità minima di annunci Google in posizione privilegiata e dando anche a Google stessa il diritto di autorizzare modifiche agli annunci dei concorrenti. La Commissione aveva inviato le sue accuse formali a luglio 2016 e Mountain View aveva modificato i proprio termini contrattuali, proprio a partire dal 2016. Secondo la Commissione, queste pratiche hanno ridotto artificiosamente la scelta e «soffocato l’innovazione nel mercato»: «La cattiva condotta è durata dieci anni e ha impedito alle altre aziende di competere sul merito e innovare», ha detto Vestager. Quella di mercoledì — che era stata anticipata dal Financial Times una settimana prima — è la terza multa in tre anni, dopo quelle del 2017 (da 2,4 miliardi) e del 2018 (da 4,34).

Fonte: Corriere della sera

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